Pubblicato in pressletter.com di Luigi Prestinenza Puglisi – 9 Ottobre 2012
Qual è il futuro dell’energia in architettura? Se dovessimo materializzarne l’immagine saremmo portati a
pensare principalmente ai pannelli fotovoltaici, a quelli solari, e più di recente ai generatori microeolici ad
asse verticale , tutti oggetti in grado di tradursi istantaneamente nel lessico comune dei progettisti, e non
solo, in sistemi per energia da risorse rinnovabili. Eppure, nessuno di questi oggetti ha una consolidata
valenza sistemica in architettura , nessuno cioè è riuscito ad oggi ad essere integrato in forma diffusa –
linguisticamente oltre che tecnicamente – alla progettazione contemporanea.
I pannelli fotovoltaici o solari che siano, al pari dei micro generatori eolici sono nel migliore dei casi –
nell’edilizia comune – tollerati dai progettisti, ma quasi mai diventano quindi elementi di architettura. In
Italia – come all’estero – i recenti sforzi nelle norme di incentivazione all’impiego di panelli attribuiscono
misura di vantaggio alle applicazioni cosiddette “integrate” dei sistemi rinnovabili al corpo dell’edificio,
rispetto alle applicazioni comuni – spesso tradotte nella semplice collocazione dei pannelli in terrazza –
giustamente non condivise dal senso dell’estetica comune, oltre che dagli enti di tutela del decoro
architettonico dei centri storici. Se “l’integrazione architettonica” fosse prassi e cultura comune nel disegno
tecnico probabilmente non sarebbe stato necessario pensare ad una norma in tal senso.
Perche? Una delle risposte possibili è che nell’architettura contemporanea manca quel “riflesso
incondizionato” in grado di uniformare in un unico gesto l’aspetto “formale” e quello “sostenibile “ nel
progettare. Non è solo una questione di non-conoscenza da parte dei progettisti dei caratteri della
progettazione ambientale, è spesso una deliberata scelta di linguaggio insensibile o semplicemente
disinteressato ai parametri dell’edilizia sostenibile. Molte delle tendenze recenti dal decostruttivismo al
minimalismo, all’opera idiosincratica dei cosiddetti maestri non hanno incluso nella propria riflessione quelle
istanza della “green design” che oggi non dovrebbero essere semplicemente un valore aggiunto , una
condizione necessaria (ma non sufficiente) del fare architettura oggi. Molti dei paradigmi stilistici della
modernità quali la “trasparenza”, la “leggerezza” o l’ostentazione tecnicista si sono spesso mal-tradotti in
architettura, come le tutto-vetro altamente energivore o bisognose di costanti e costose opere di
manutenzione. IL sistema VRV– volume refrigerante a densità varabile , messo a punto da una nota casa
produttrice di climatizzatori è stato ideato per compensare le masse d’aria eccessivamente calde o fredde
prodotti negli edifici tutto vetro in casi di esposizioni climatiche inadatte, un invenzione resa necessaria dai
limiti della cultura progettuale e corretto dai produttori, ma con un alto costo energetico per il funzionamento
dell’impianto, costo evidentemente evitabile da scelte operabili in fase progettuale.
Nell’architettura tradizionale della coscienza spontanea, quella in cui i saperi si tramandavano sul cantiere e
non erano esclusivo retaggio delle professioni, le case si realizzavano con un uso consapevole delle risorse
disponibili in loco e con una naturale attenzione al luogo, all’esposizione solare durante le stagioni, e alla
capacità dei muri di trattenere il calore, quest’architettura era inconsapevolemente ecologica, ma
infinitamente più sostenibile rispetto al panorama del costruito attuale.
Nell’architettura contemporanea spesso lo spazio è un entità fisica astratta in grado di accogliere il “gioco dei
volumi nello spazio”, e quasi mai un entità ambientale, in cui si modificano la temperatura, l’umidità,
l’esposizione, l’irraggiamento solare, il micro e il meso clima. La prima concezione di spazio produce nel
migliore dei casi degli edifici belli scarsamente ecofunzionali, la seconda è garante quantomeno – se
giustamente interpretata dal progetto – comunque di un edilizia sostenibile, e se ben pensata non certamente
impossibilitata ad essere anche bella.
La concezione di uno spazio ambientale non può che essere legata al “fattore di forma” degli edifici in
funzione dell’ecosostenibilità degli stessi. Ed il fattore di forma è la prima forma di “energia” che in futuro
potrà essere modellata dagli architetti, e solo da loro.
Oggi gli architetti terminano spesso il loro progetto alle soglie degli studi degli impiantisti incaricati di
rendere energeticamente efficienti gli edifici, ma la cura potrebbe essere evitata in assenza di quel malato
cronico dalla nascita che è l’edificio stesso. Solo per fare un esempio, lo spessore di un muro, il suo grado di
finestratura e quindi permeabilità all’irragiamento solare, ma anche all’incidenza delle correnti ventose
dominanti, come la scelta di dotare gli ambienti confinati di pareti ventilate, verande o meno, determina delle
scelte di progetto in grado di influenzare profondamente il bilancio energetico globale dell’edificio, e sono
scelte che non precludono una riflessione linguistica, anzi la dovrebbero tradurre sempre in questo per essere
condivise, prima che accettate dalla società che li vive e che li sente o meno propri. Lo spazio architettonico
oggi, in tutti le sue accezioni, esiste sempre di più nelle menti dei progettisti che lo partoriscono e sempre
meno nella concezione dell’uomo comune.
In futuro probabilmente, la prima forma dell’energia in architettura sarà il risparmio, e quindi la capacità di
pensare e costruire case ad alto valore isolante in grado di ottimizzare evidentemente tutte le energie
rinnovabili oggi producibili in sito. Il primo passo sarà quello di rendere gli edifici energeticamente
autosufficienti (oggi la climatizzazione degli edifici occupa il 40% dei consumi globali del pianeta), quindi
quello di pensarli come microcentrali in grado di cedere alle reti l’energia in eccesso e di prenderla quando
necessario. Attualmente il sistema energetico mondiale prevede un modello policentrico centralizzato dove
ogni territorio, anche esteso, è legato alla produzione di molta energia da parte di grandi centrali, a questo
modello si dovrà affiancare un modello di produzione diffusa sul territorio, e nei territori ad antropizzazione
intensive come le città o le aree urbane continue la progettazione edile avrà un ruolo centrale. Abdicare o
ignorare questo comporterà per i progettisti un prolungamento di sudditanza della propria architettura al
modello energetico centralizzato, con evidente danno per il pianeta e quindi per chi ci abita.
Antonio Galeano
9 Ottobre 2012
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